“Se puoi sognarlo
puoi farlo”
(Walt Disney)

Ci sono cose che non hanno bisogno di presentazioni, persone (o personaggi) di cui basta pronunciare il nome perché a tutti sia chiaro di cosa si sta parlando. Qui in Baviera, ad esempio, se si dice Ludwig II si avrà subito in regalo il sorriso smagliante – e non è cosa da tutti i giorni – di ogni bavarese doc, e occhi dolci e un po’ sognanti.

Ludwig II, che noi italiani chiamiamo Ludovico II di Baviera, è il re delle favole, un mito qui dalle mie parti. Bello, altissimo e con gli occhi blu, il cugino della principessa Sissi fu un uomo molto discusso, ma di sicuro il re più amato. Era sensibile, amava il bello, l’arte e Wagner, era complicato, molto fragile, molto umano, molto giovane quando salì al trono. Era un sognatore, uno con la tempesta dentro e il sorriso un po’ triste sulle labbra, un poeta, uno con l’anima troppo bella per questo mondo. Morì, ancora giovane, in circostanze poco chiare, subito dopo essere stato rinchiuso perché considerato pazzo. Per me, invece, era semplicemente un artista.
Mi piace pensare che se fosse nato un secolo dopo, sarebbe stato una di quelle rock star pazzesche, uno per cui generazioni di ragazzi “sconvolti” si sarebbero strappati i capelli, qualcuno anche i vestiti.

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Ingresso del Castello di Neuschwanstein

Tra le bellezze che Ludwig ha sparso nella sua amata Baviera, ci sono i suoi Castelli, ancora oggi i luoghi più visitati di questo Land. Sono tre, più uno nel quale lui visse a lungo ma che non fece direttamente edificare, e sono splendidi. Una magia reale, che ti ritrovi davanti e che all’inizio non sai gestire del tutto.

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Il più famoso credo sia proprio Neuschwanstein, il castello delle favole. E di questo vi parlerò. Ci sono arrivata in una giornata piuttosto bruttina, e se da una parte le foto che vi mostrerò non hanno il fascino di quelle perfette che trovate sui depliant turistici, è pur vero che si portano dietro quell’atmosfera un po’ fiabesca e nebbiosa che a me ha fatto letteralmente impazzire.
Ludwig lo fece costruire a partire dal 1869, e lo volle proprio come un Castello delle favole, sullo stile di antiche residenze feudali che aveva visto e amato durante un suo viaggio in Turingia. Si dice che Walt Disney, quando vi si trovò davanti, ne rimase così folgorato da prenderlo come soggetto che ispirò poi il  castello del suo film d’animazione “La bella addormentata nel bosco”. E ci credo, Neuschwanstein è splendido!

Il paese che lo ospita si chiama Füssen, un piccolo centro in tutto e per tutto bavarian style. Appena arrivati troverete alcuni ristoranti, negozi di souvenir e altra roba del genere, compresa la biglietteria che è proprio ai piedi del Castello. E allora girarsi e vederselo di fronte, che sovrasta tutto, appoggiato su una grande montagna, così imponente, così solitario, così stanco, è un momento che ti resta anche quando poi vai via e nei giorni seguenti continui a pensarci un po’ su. Di una bellezza mozzafiato.

Dalla biglietteria, poi, puoi scegliere se salire fino al Castello a piedi, con la navetta, o con una piccola carrozza, ma in ogni caso il tratto è breve. E poi, di colpo mentre cammini, giri una curva ed è lì. Ti fermi, a quel punto, e scatti mille foto. Meglio quindi andare a piedi.
Arrivati all’ingresso c’è un po’ di fila da fare, perché i visitatori sono tantissimi ogni giorno, ma è tutto molto veloce, sono pur sempre tedeschi, organizzatissimi, si procede senza intoppi fino all’entrata.

All’interno non si possono scattare foto, c’è una guida che spiega le varie Sale, e ognuno ha il suo traduttore in mano, che avvicinato all’orecchio spiega Ludwig e il suo Castello nella lingua che preferite. Io mi aggiravo lì dentro che sembravo la solita pazza, affascinata, guardavo ogni dettaglio, rimanevo indietro, mi perdevo l’inizio o la fine della spiegazione perché correvo dietro alle storie – pazzesche – che mi sembrava venissero fuori da ogni piccolo oggetto che vedevo. Una favola vera, nel 2016. Vedi che esiste il sogno, continuavo a ripetermi.

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Tra gli ambienti più eleganti ci sono sicuramente la Sala del Trono, con i gradini in Marmo di Carrara, la Sala da Pranzo, con dipinti che raffigurano una gara poetica svoltasi nel Duecento – perché lui è Ludwig, e preferisce opere che celebrino l’arte, a quelle che ricordano le guerre – la Stanza da letto, in stile tardo gotico, tutta intagliata in legno, con le tende color blu bavarese, il colore preferito dal re delle favole, la finta grotta di stalattiti e stalagmiti col suo giardino d’inverno, il Soggiorno Reale con opere che ricordano la vicenda di Tristano e Isotta.

E poi c’è la mia preferita, la Sala dei Cantori, che occupa praticamente tutto il quarto piano, l’ultimo. Uno dei lati della stanza presenta un palco con una serie di arcate e la bellissima opera  Il giardino incantato di Klingsor di Christian Jank. Da favola davvero. Si dice che fosse illuminata da più di 600 candele, e che Ludwig non la utilizzò mai. Si dice anche che fosse una dichiarazione d’amore, da parte del re, alla cultura cavalleresca medievale e al concetto, appunto, di amore. Ludwig, un’anima d’artista.

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In realtà, alla morte del re, solo 15 delle 200 stanze presenti erano state completate. Non sono tutte visitabili, ma da alcune finestre ho sbirciato, trovandole, le camere della servitù, più sobrie ma confortevoli, alcune stanze degli ospiti, la grande cucina. Mi ha sorpreso scoprire che c’era acqua corrente (e perfino lo scarico automatico nelle toilettes!), e che in generale tutto il Castello era dotato di ogni innovazione tecnica dell’epoca. E mi ha intenerito il fatto che tutte le sale presentano opere che ricordano i motivi wagneriani, come se Ludwig avesse voluto gridare al mondo intero il suo amore folle per la musica e per quel compositore geniale che fu Wagner.

Ci sono cose che non hanno bisogno di presentazioni. Una di queste è il Castello di Neuschwanstein, che non solo merita una visita, ma anche un applauso. Quando uscirete di lì, ricordatevi di farlo, ma breve, tanto per non sembrare un po’ matti come me. E salutate Ludwig II, ringraziatelo, perché l’atmosfera fiabesca e artistica la dobbiamo tutta a lui, alla sua grazia, alla sua leggerezza, alla sua anima che sapeva volare. Alla sua disperazione, anche.

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E se, come me, vi verranno in mente mille storie inventate da tutto quel guardare oggetti, e quadri, stoviglie antiche e letti piccolini, finestre sbarrate e guglie altissime, non preoccupatevi più di tanto. Anzi, scrivetemele. Sarà bellissimo leggerle.

Sabrina