“Il lavoro non mi piace – non piace a nessuno – ma mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi. La propria realtà – per se stessi, non per gli altri – ciò che nessun altro potrà mai conoscere.”
(Joseph Conrad)

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Ho deciso di rispondere qui a una domanda che mi viene posta di frequente. Perché lavori in fabbrica? Perché una donna giovane, che sa parlare inglese, con una cultura, con la Laurea, italiana, fa l’operaia? Se dovessi rispondere così di getto, direi perché mi piace. Fermi tutti!

Ho detto che mi piace, non che lo amo. Parliamoci chiaro, chi mai nella vita sogna di fare l’operaio? Nessuno credo. Neppure io. Infatti ho studiato con l’intenzione di fare altro. E l’ho fatto. Poi sono arrivata negli Stati Uniti, dove ho dovuto rivoluzionare tutta la mia vita, lavoro compreso. Nonostante fossimo nel pieno della crisi, ho trovato lavoro senza difficoltà. Certo, non un’occupazione da professionista, ma pur sempre un’impiego dignitoso. Lavoro per una compagnia americana, che si trova in tutto il mondo e che produce materiale plastico di precisione che viene utilizzato in vari settori. Svolgo questo impiego da diversi anni ormai e ho pensato di raccontarvi in sette brevi punti perché ancora sono qui.

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  1. La distanza: questo è il primo motivo per cui ho scelto questa occupazione. Al tempo non guidavo e ho dovuto lasciare il vecchio lavoro per motivi logistici. All’agenzia interinale con la quale ero segnata ho detto che avrei potuto lavorare se mi avesse trovato un posto vicino a casa, dove qualcuno della mia famiglia poteva accompagnarmi. Neanche una settimana senza lavoro e eccomi di nuovo impiegata. Il mio il posto di lavoro dista dalla mia abitazione 7/8 minuti in macchina (se chiedete a mio marito vi dirà meno di 5), una sola uscita di 195.
  2. L’orario: lavoro dalle 7:00 alle 15:00 e questo mi permette di tornare a casa presto e avere tutto il pomeriggio e la sera per stare con Roman e dedicarmi alla casa e alle mie cose. Spesso ci sono gli straordinari nel weekend, ma non sono obbligatori.
  3. I capi: i miei superiori sono brave persone, alla mano, umani, che tra l’altro ti chiamano per nome e ti chiedono addirittura come stai. Fantascienza per la maggior parte dei posti di lavoro!
  4. Il lavoro manuale: ecco, questa è la mia pecca e allo stesso tempo la mia sfida. Immaginate voi una donna che ha sudiato per metà della sua vita, avere a che fare con strumenti e macchinari manuali (e anche computerizzati, grazie a Dio!). Divertente e impegnativo, tanto che a volte quando riesco a trovare la soluzione a un problema tecnico e a cambiare persino una molla mi sento quasi come MacGyver. Come diremmo a Roma: so’ soddisfazioni!
  5. Palestra: il lavoro in fabbrica non è per tutti. Molti se ne vanno dopo poche settimane. Le scatole sono pesanti e ci vuole forza ed energia. Spesso si sta in piedi per tutte le otto ore. A me piace questo aspetto. Dico sempre che il lavoro è la mia palestra.
  6. L’ambiente di lavoro: Un’altra cosa che dico è che il lavoro è la mia vita sociale. A livello umano poi è interessante e stimolante. I miei colleghi sono americani ma anche immigrati, proprio come me, da tante altre parti del mondo. È impagabile parlare con loro, ascoltare storie e tradizioni di luoghi lontani e avere la possibilità d’imparare qualche parola di tante lingue così differenti tra di loro, capire quasi perfettamente discorsi in spagnolo, salutarsi in così tanti modi diversi. L’unica cosa che mi dispiace è che, mentre tutti gli altri hanno se non un vero e proprio gruppo, almeno una persona con cui scambiare una chiacchiera nella propria lingua, io no. Nessuno parla italiano. Anche se ogni volta che incrocio i miei colleghi italo-americani, ci diciamo “Good Morning”, a me suona proprio come un perfetto “Buon Giorno”! Sì, perché, non c’è niente da fare, tra paesani ci si riconosce. Gli altri miei colleghi tuttavia, non mi fanno pesare questa differenza linguistica. Anzi alcuni per me sono dei veri e propri amici. E inoltre sono persone con un grande cuore. Giorni fa si parlava di cibi tradizionali e una collega polacca, il giorno dopo mi ha portato un barattolo di pikles della Polonia lasciandomi a bocca aperta.  Quando ero in gravidanza mi hanno aiutato tutti tantissimo e addirittura hanno organizzato il baby shower per me e il mio bambino. Non lo scorderò mai.      img_7891
  7. Iniziative per raccolta fondi: il mio posto di lavoro è sempre attento al sociale; Risorse Umane fa sempre un ottimo lavoro nell’organizzazione e i miei capi e colleghi partecipano in modo attivo e generoso.

Probabilmente ci sarebbe da raccontare tanto di più come le cene di Natale, le torte per festeggiare un complenno, il carretto del gelato d’estate, le passeggiate in Primavera e Autunno durante la pausa pranzo. Potrei anche parlare degli aspetti negativi, ma ho scritto che avrei detto “perché mi piace” e non perché non mi piace e quindi, perdonatemi, ma mi limiterò soltanto agli aspetti positivi.

Tutte queste buone prospettive influiscono di certo, ma non sottovaluto la mia attitudine. Ho sempre lavorato in un modo solamente, come se fosse un gioco, un gioco serissimo: con il sorriso sulle labbra ma con la massima serietà. Questo è il mio segreto. E a voi piace il vostro lavoro?

A presto,

Alessandra

 

“I don’t like work–no man does–but I like
what is in the work–the chance to find yourself.
Your own reality–for yourself not for others–what
no other man can ever know”
( Joseph Conrad )

I finally decided to answer a question I get asked quite frequently.
Why do you work in a factory? Why does a young woman, who can speak English, with an
education and an Italian University degree work as a production worker?
First answer that comes to mind is: because I like it!
Hold on a minute though, I said I like it, I didn’t say I love it. Let’s be honest here, who in their right mind would wish to be a fabricator, right? I don’t. I studied to pursue a different type of career. Which I did. Then I came to the United States where I had to reinvent my life, including my job.
Despite being in the midst of the economy crisis, I found one. It didn’t promise me the brightest future, but it was still a decent job. Today I work for a world’s leading precision dispensing equipment and systems manufacturer. I’ve been doing this for several years and I thought I’d discuss, in 7 steps, the reasons why I’m still employed with this American company with you guys.
1. Distance: this is the main reason I chose this job. When I first moved here I didn’t drive so I had to quit my previous job for logistic issues. I told the employment agency I was enrolled with that I was available for employment, only if the job site was close to home, where a family member could bring me to work every morning. Less than a week later I was employed again. My job is only a 7-8 minute ride away from my house, although if you ask my husband he would tell you it’s less than 5. It’s just one exit off I-195.
2. Schedule: I work from 7am to 3pm. This allows me to get home early and spend the afternoon and the evening with Roman, take care of myself and do what I have to do around the house. Overtime is often available on weekends, but it’s not mandatory.
3. My managers and supervisors: they are good, respectable people. They call me by my first name and ask me how I’m doing. Quite unusual in many workplaces, these days!
4. Manual labor: this is both a weakness and a challenge for me. Imagine a woman who spent most of her life studying, having to deal with tools and manual machinery (sometimes automated, thank goodness! ). It’s fun and demanding at the same time and when I find the solution for a technical problem, I feel like I’m MacGyver. As we would say in Rome: It’s the little things…
5. Gym: working in manufacturing is not for everyone. Many quit after just a few weeks. Some boxes are heavy, a lot of strength and energy is required and we’re often on our feet for 8 hours a day. I like this aspect of my job, though. As I always say, my workplace is my gym.
6. Work environment: another thing I always say is that my job is my social life. It’s interesting and stimulating to be around my colleagues everyday. Some of them are Americans and some areimmigrants, like myself. Talking to them, learning about new cultures, traditions and a few foreign words here and there, understanding almost entire conversations in Spanish and greeting each other in so many different ways is just priceless. The only thing I’m sad about is, while everybody has at least one buddy to talk their own language with, I don’t. No one speaks Italian, even though saying “good morning” to my Italian American colleagues, to me, sounds exactly like “buongiorno”. Yes, because compatriots always find their way back to each other. Ihave to say though, my colleagues never used the language barrier to treat me as an outsider.
Some of them are actually really good friends of mine and they all have a big heart. A few days ago we were all talking about traditional foods and my Polish colleague brought me a jar of pickles from Poland the next day, I was speechless. When I was pregnant they all helped me a lot and actually planned a baby shower for me and my son. I will never forget that.
7. Fundraising initiatives: the company I work for is actively involved in social, fundraising events.
HR always does a grey job at organizing such events and my bosses always participate in a
committed and generous way.
There’s a lot more I would like to mention, like Christmas dinners, birthday cakes, the ice cream cart in the summer, my walks in spring and fall during my lunch breaks and so on. I could also talk about the negative aspects of my job, but at the beginning of my article I stated I like my job, I didn’t say anything about not liking it, so forgive me, but this article ends here.
All of the positive things I listed above certainly help, when it comes to waking up in the morning being happy to go to work, but my attitude gets a lot of credit too. I’ve always taken business as a game. An extremely serious game, with a smile on my face and
utmost professionalism. This is my secret.
Do you like your job?
Until next time,
Alessandra

Traduzione a cura di Caterina Podda

Translated by Caterina Podda