Trenton è la capitale del New Jersey e se oggi può suonare come l’ennesima provincia degli Stati Uniti d’America, una volta è stata molto, molto di più. Non vivo a Trenton, ci sono stata diverse volte negli anni passati, ma conosco, e ho conosciuto, chi ne parla con nostalgia, come di un posto che non esiste più, pur continuando comunque ad esserci. Mia suocera è nata al numero 66 di Anderson Street, in una casa vecchia, brutta, a tre piani, che ha sempre cercato di rendere graziosa, con le tende nuove e la carta da parati. Era una casa povera, spartana, eppure, allo stesso tempo, era una casa felice, grazie a cose semplici e vecchi valori.

Dopo essere sbarcati ad Ellis Island, i nostri connazionali, non tutti certamente, ma molti di loro, si avviavano verso Trenton. Questa città che ora non assomiglia più tanto, anzi, ad essere onesti, per niente, a come se la ricorda chi l’ha vista e vissuta tanti anni fa, era una piccola Italia. Le vie di Chambersburg, o semplicemente “the ‘Bourg“, come veniva chiamato questo quartiere, erano popolate dagli italiani che erano fuggiti dalla fame e dalla miseria della nostra penisola, tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. Si parlava italiano, si mangiava italiano.

Perché proprio Trenton? La risposta è semplicissima. Qui c’era lavoro. A Trenton c’erano tantissime fabbriche e gli italiani si davano una mano tra di loro, facendo passa parola, trovando un posto in fabbrica, non solo ai propri familiari, ma anche ai connazionali. All’inizio per gli italiani non era semplice trovare lavoro, per la lingua, per la reputazione che avevano per colpa della mafia; però gli italiani erano ingegnosi, si davano da fare ed erano gran lavoratori. Loreto Agabiti, il padre di mia suocera, non riuscendo a trovare lavoro, si finse tedesco, per via dei capelli chiari, gli occhi blu e la lingua che si arrangiava a parlare. Molti connazionali che avevano le risorse e le capacità, si mettevano in proprio, alcuni erano costruttori o ristoratori, per capirci. Non tutti se la passavano benissimo, molti si arrangiavano e, sebbene la vita fosse certo meglio in America, allo stesso tempo non era così facile. La maggior parte dei nostri connazionali, doveva darsi da fare, senza stare con le mani in mano e trovare il modo di mantenere le famiglie e pagare l’affitto. Per questo motivo, gli abitanti di Trenton ospitavano nelle case almeno un inquilino, il cosiddetto “bordante” (dall’inglese boarder), in broken-English, quella strana lingua che gli italiani d’America avevano imparato a parlare e con la quale comunicavano tra di loro (in caso ve lo foste perso, ne ho parlato qui e ne continuo a parlare nelle mie storie di Instagram ). Molti “bordanti” venivano da New York. C’erano fabbriche di ogni tipo, di ferro e metallo, per i quali Trenton è famosa ancora oggi (non a caso il ponte che comunica il New Jersey alla Pennsylvania, il Lower Free Bridge  riporta la scritta illuminata “Trenton makes, the world takes“, Trenton fa, il mondo prende), dove anche il padre di mia suocera infatti era impiegato, ma anche di bambole, di make-up, di ceramica, di gomma, per citarne alcune. Per non parlare dei forni! I più famosi erano due: Barbero’s e Italian People. Il primo ha chiuso recentemente, mentre il secondo è tuttora all’attivo e vende il pane, fatto ancora con la ricetta origlinale. Mia suocera che è nata proprio negli anni della Grande Depressione, si ricorda l’odore del pane fresco che arrivava su fino a casa sua, e le ciambelle del giorno prima, che erano  quelle che sua madre però comprava, perché più abbordabili.

Alcune delle pizzerie storiche americane sono nate a Trenton, ma poi con gli anni trasferite altrove come vi ho già raccontato qui . La vita era semplice, non tutti sono diventati ricchi, ma hanno comunque potuto vivere una vita dignitosa. In molti neanche hanno voluto più vedere l’Italia, come Carmela Marinelli, che neanche voleva andare in campagna, figuriamoci volare fino in Italia, o Federica Santini, che però ha chiamato sua figlia Italia, come molti altri che sono rimasti legati alla patria. Tanti tuttavia sono stati quelli che hanno fatto avanti e indietro per una vita intera, alcuni hanno addirittura diviso le famiglie, perché c’era chi voleva restare e chi invece, non essendosi abituato alla nuova vita è voluto rientrare  e altri ancora, soprattutto i figli della prima generazione, hanno sognato la patria dei genitori senza mai averci messo piede.

Negli anni 60/70, quando le fabbriche hanno iniziato a chiudere, soprattutto per via delle tasse troppo alte, delle leggi, dello Union, i sindacati, per capirci, gli italiani hanno iniziato a trasferirsi, cominciando a lasciare Trenton poco a poco. Altre comunità hanno preso il posto di quella italiana. In New Jersey, gli italiani di vecchia e nuova generazione, sono ancora tantissimi, anche se ora non esiste più una comunità italiana circoscritta in un luogo ben preciso.

Se una volta Trenton fu anche, per un brevissimo periodo, la capitale degli Stati Uniti, oggi è una delle città più pericolose del New Jersey, piuttosto degradata. Quella italiana, con la sua storia e la sua lingua strampalata, è stata solo un’ondata di passaggio, che forse nessuno neanche più ricorderà.